La sfida dei laburisti britannici
Il primo deputato laburista della storia è stato Keir Hardie, un socialista cristiano lo potremmo definire. E Keir è il nome che venne dato proprio per questo dal padre a Keir Starmer, un personaggio entrato in politica di recente, ma di solide tradizioni familiari laburiste. Pur essendo un moderato, Starmer non ha quindi un Dna blairista, cioè non pensa che il futuro del socialismo democratico sia affidato alla sua capacità di seguire il vento della globalizzazione, e con il suo “New Deal for working people” si situa nella linea della riconquista del voto popolare cui le forze socialista europee (ma anche i democratici americani) hanno dovuto restituire la priorità. Certamente i laburisti britannici sono stati favoriti dalle traversie dei conservatori, sboccate nell’improvvida decisione delle elezioni anticipate del 4 luglio u.s., non solo ma anche dal crollo dello Scottish National Party che aveva sottratto loro molti seggi nella terra delle cornamuse. Tuttavia la loro vittoria, insieme al contenimento dell’avanzata lepenista operato con successo in Francia, ha rappresentato un’importante inversione di tendenza rispetto ad una serie di vittorie della destra che si verificavano in Europa, inteso questo termine nel suo senso più largo. Il nuovo governo laburista in Gran Bretagna deve peraltro fare i conti con un paese profondamente diviso. Forse troppo facilmente ci siamo dimenticati di Jo Cox, la deputata laburista britannica, fervente europeista, uccisa da un estremista di destra il 16 giugno 2016 durante la campagna elettorale per la Brexit. Quello che sta avvenendo attualmente è un tentativo di destabilizzazione del paese da parte di una destra estremista, che ha colto l’opportunità di inserirsi nell’ondata di indignazione sollevata dalla strage di bambine perpetrata a Southport da un diciassettenne nato in Galles, figlio di genitori ruandesi. Si è diffusa anche la fake new che l’assassino fosse un musulmano per alimentare ulteriormente l’odio razziale espressosi con ripetuti diffusi attacchi anche alle forze di polizia che il governo sta cercando di padroneggiare. Se la sfida per i laburisti britannici è quindi quella di ricomporre un paese profondamente lacerato, ci si può rendere conto molto bene che questa passa attraverso un aumento della spesa sociale, a cui si aggiunge la proposta di un “living wage”, cioè un salario minimo, non fissato in astratto ma adeguato alle concrete condizioni di vita. In altre parole, dipende dalle risorse di cui il governo laburista e in particolare la sua Cancelliere dello Scacchiere Rachel Reeves potrà disporre per realizzare il programma laburista. Per quanto ci riguarda direttamente come europei ed italiani in particolare, la vittoria dei laburisti britannici può avere una grande importanza. Già nel vertice, ospitato in Gran Bretagna, della European Political Community, l’organizzazione che riunisce i paesi europei appartenenti o meno alla Ue, si sono manifestate le da parte di Starmer le linee di una politica di riavvicinamento all’Unione Europea, non nel senso di una riproposizione di un referendum sul ritorno della gran Bretagna, bensì in un approccio pragmatico di collaborazione da estendere in vari campi, politici ed economici. Un atteggiamento questo che si manifesta anche nei confronti del socialismo europeo cui il Labour è membro e con cui Starmer intende dichiaratamente intensificare una collaborazione in particolare nel campo dei programmi sociali. Un rapporto più stretto con il socialismo europeo, afferma Starmer, nel comune intento fi fronteggiare l’ondata sovranista e populista a livello europeo. Questa nuova fase di governo laburista in Gran Bretagna è quindi da seguire con viva partecipazione da parte nostra. In Italia, due grandi personaggi, uno socialista riformista, uno socialista liberale, Giacomo Matteotti e Carlo Rosselli rivolsero una grande attenzione sia politica che culturale al Labour. Piero Calamandrei dedicò nel 1951 un numero speciale della sua rivista “Il Ponte”, a quella che chiamò’ “L’esperienza socialista in Gran Bretagna”. Posso testimoniare che un incoraggiamento verso la mia idea di costituire la Federazione Laburista in Italia, mi venne da Robin Cook, uno dei massimi dirigenti del partito, ministro degli esteri quando Blair vinse le elezioni, che abbandonò il governo dopo la sciagurata decisione dell’intervento in Iraq. Nel novembre 1994, a Firenze, durante la conferenza costitutiva della Federazione Laburista in Italia, tentammo di mettere insieme i tre segretari nazionali CGIL, CISL e Uil in una tavola rotonda. Aldilà della necessaria risposta che il cambio del nome in laburista poteva dare alla crisi del socialismo italiano, c’era infatti anche un’idea più generale. Si pensava che quel processo di alleanza di centro-sinistra che poi doveva affermarsi con l’Ulivo, potesse scaturire proprio da un’ipotesi laburista delle tre grandi centrali sindacali italiane Cgil, Cisl e Uil. Devo dire che Sergio Cofferati aveva manifestato disponibilità a venire a Firenze, ma poi non poté farlo, in quanto uno dei segretari, più precisamente l’allora segretario della Uil Pietro Larizza, aveva manifestato l’intenzione di delegare un altro dirigente della sua organizzazione. Com’è noto, i segretari confederali erano legati da una prassi: o venivano tutti e tre o tutti e tre delegavano un dirigente di pari livello. Perché questo ricordo? Perché il problema vero oggi è superare nei fatti quella fusione a freddo tra post-comunisti e postdemocristiani di sinistra che ha costituito il limite della nascita del Pd. E oggi il Pd che sta nel socialismo europeo potrà confrontarsi con una realtà che in Gran Bretagna, ma anche in Francia, segna una ripresa socialista. Una ripresa socialista che anzitutto nell’impostazione politica e culturale sarebbe importante che si affermasse anche in Italia per costruire tutti insieme una rivincita del centro-sinistra.
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